Non tutti sanno, però, che la stessa chiesa di Roma, nel 2006, negò il rito funebre a Piergiorgio Welby, simbolo della lotta per l’eutanasia, con la seguente motivazione del Vicariato: “Con i suoi gesti e i suoi scritti si è messo in contrasto con la dottrina cattolica”.
La scelta di celebrare un funerale sfarzoso per un noto boss della malavita, mentre si negava lo stesso rito a una persona che ha combattuto per il diritto di scegliere una morte dignitosa, solleva molte domande. La decisione del Vicariato di Roma di negare il funerale a Welby si basava sul fatto che, con i suoi atti e scritti, era in contrasto con la dottrina cattolica. Questo contrasto si evidenzia ulteriormente alla luce del trattamento riservato a Casamonica.
La decisione di giudicare una persona in base alla sua morte, e non per la sua vita, ci appare poco PerBene. Piergiorgio Welby, nonostante le sue posizioni controverse sulla fine della vita, ha vissuto una vita di lotta e di difesa dei diritti umani. Al contrario, Vittorio Casamonica era noto per la sua vita criminale e le sue attività illecite.
Questa disparità di trattamento pone una domanda critica sulla coerenza morale e etica delle decisioni prese. La Chiesa, come istituzione spirituale e morale, dovrebbe riflettere sulla coerenza delle sue azioni e sul messaggio che esse trasmettono alla comunità. L’accettazione del funerale di un boss della malavita e il rifiuto di un funerale per un attivista dei diritti umani sembra mandare un messaggio confuso e contraddittorio.