Il rimedio è la povertà. “Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è “comunismo”, come credono i miei obiettori di destra. Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. (…) Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo. (…) Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita”.
Questa riflessione ci invita a riconsiderare il concetto di povertà come una scelta di vita consapevole, mirata alla valorizzazione delle cose essenziali e necessarie. Non si tratta di miseria o di ideologia politica, ma di un modo di vivere che ci permette di apprezzare e gustare ciò che realmente importa.
Il cibo, il vestiario e la casa, elementi fondamentali della nostra esistenza, dovrebbero essere sufficienti, senza eccessi o superfluità. La povertà, in questo senso, diventa un’educazione alla semplicità e alla sobrietà, un ritorno a valori più autentici e sostenibili.
Assaporare il cibo, non semplicemente ingurgitarlo, significa prendere coscienza della sua importanza e del suo valore. Vivere in una casa necessaria, senza lusso, ci insegna a essere soddisfatti di ciò che abbiamo, piuttosto che desiderare sempre di più.
Questa ideologia della povertà può essere vista come una risposta alla società consumistica in cui viviamo, dove il superfluo è spesso considerato indispensabile. Riscoprire la povertà come educazione elementare alle cose utili e dilettevoli alla vita può rappresentare una via per recuperare una dimensione più umana e sostenibile della nostra esistenza.