La sera del 19 marzo 2002, il professore Marco Biagi scendeva dal treno che lo aveva portato a Bologna. Ignaro di essere seguito, l’economista percorse normalmente il tratto di strada che lo avrebbe condotto a casa, ma lì, ad attenderlo, trovò due brigadisti a bordo di un motorino che lo freddarono di fronte al portone.
Biagi, allora consulente del Ministero del Lavoro, fu ucciso per le sue idee di riforma contenute nel Libro Bianco, un documento che prevedeva una serie di regole per imprenditori, sindacati e lavoratori. La proposta impegnava i sindacati a confrontarsi maggiormente sui contratti e prevedeva modifiche allo Statuto dei lavoratori, mantenendo le tutele per questi ultimi.
Pochi mesi prima dell’attentato, il ministero dell’Interno – guidato all’epoca da Claudio Scajola – decise di revocare la scorta a Marco Biagi. Questa protezione era stata richiesta dallo stesso Biagi per timore di attacchi da parte degli estremisti di sinistra. Nonostante avesse denunciato minacce e inviato lettere a diversi esponenti politici per ottenere qualche forma di tutela, non fu ascoltato. Scajola rispose che Biagi non era così centrale per la riforma del lavoro e lo definì “un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza”.
Marco Biagi era un uomo libero che ha sempre detto ciò che pensava. Non era legato a una parte in particolare, né servo di un dogma politico. Amava esprimere ciò che riteneva giusto ed ebbe il coraggio di esporre le proprie idee, a costo della sua stessa vita.
Il suo sacrificio ci ricorda l’importanza della libertà di pensiero e del coraggio di sostenere le proprie idee. Le riforme proposte da Biagi, sebbene controverse, miravano a modernizzare il mercato del lavoro italiano, cercando un equilibrio tra le esigenze di imprenditori e lavoratori.
Grazie, Marco, per il tuo coraggio e la tua dedizione. La tua voce e le tue idee continueranno a ispirare chi crede nel dialogo e nella riforma.