In questi giorni, il mondo occidentale celebra la liberazione della città siriana di Palmira dalle barbare mani dell’Isis. Mentre da un lato si procede con una triste conta dei danni, dall’altro si tira un sospiro di sollievo: sì, sono stati demoliti importanti monumenti, statue e reperti, ma non c’è stata la temuta distruzione totale.
Il nostro pensiero non può non andare a Khaled Al Asaad, grande archeologo, scrittore e traduttore siriano. Asaad era profondamente innamorato di Palmira, tanto da dedicare alla “Meraviglia del deserto” gran parte della carriera, e della sua stessa vita. Lo scorso agosto, durante l’avanzata dell’Isis, Asaad aveva 82 anni, in pensione da dieci, ma decise di rimanere lì, da solo, ultimo baluardo in difesa delle rovine. Venne catturato e torturato dagli uomini del Califfato, ma nonostante ciò, si rifiutò di rivelare dove fossero le molte opere d’arte islamiche, nascoste poco prima dell’arrivo dei miliziani. Il 18 agosto venne giustiziato davanti al museo della città, ed il suo corpo venne appeso a una colonna ed esposto in pubblico.
In occasione della sua ultima intervista Asaad dichiarò con orgoglio: “Preferiamo morire piuttosto che arrenderci”. Asaad ha deciso di legare il proprio destino a quello della città. Perché Palmira in questi mesi non ha rappresentato solo un patrimonio culturale, Palmira è stata un simbolo dell’umanità, del dialogo, della pace.
Solo ora che è di nuovo libera, ferita, violentata nel profondo, ma viva, il suo custode potrà finalmente riposare in pace.