È il 10 aprile del 2009, venerdì Santo, primo giorno delle tanto attese vacanze pasquali per molti ragazzi. Vittorio Maglione, 13 anni, vive in un quartiere difficile di Napoli, ma con coraggio frequenta la scuola, determinato a tenersi lontano dal mondo criminale che serpeggia tra quei palazzoni.
La situazione a casa di Vittorio è difficile. La violenza della periferia entra da ogni spiffero, soprattutto se tuo padre è Maglione, detto “naso stuort”, il boss dei Casalesi. Il padre di Vittorio ha una lunga carriera criminale, iniziata da giovane, segnata da arresti, condanne e fedeltà ai maggiori clan fino a raggiungerne i vertici. Un destino che ha toccato anche il fratello Sebastiano, ucciso a soli 14 anni in una faida tra cosche di Secondigliano.
Dopo la morte del fratello, Vittorio prova sdegno per quel mondo e per suo padre. Inizia a interessarsi alla storia di Giancarlo Siani, il giornalista del Mattino assassinato dalla camorra, a cui era intitolata la sua scuola. Vuole essere come lui: forte, coraggioso e onesto, valori disonorevoli per la sua famiglia. Il padre lo minaccia e lo violenta psicologicamente, vessandolo continuamente. Troppo per un tredicenne con la sola colpa di voler essere un ragazzino normale.
Quella mattina di primavera, Vittorio si sveglia tardi e si mette al computer. Attraverso Messenger, il mezzo più usato dai suoi coetanei, decide di affidare il suo addio. Stanco di non vedere speranza e luce nel suo futuro, Vittorio si toglie la vita, lasciando le sue ultime parole al padre: “Io non voglio diventare come te. Adesso sei contento? Non ti rompo più”.
La storia di Vittorio è una tragedia che ci ricorda l’importanza della comunità. In trappola e senza via d’uscita, giovani come lui avrebbero potuto trovare un’ancora di salvezza negli insegnanti, nei vicini di casa, nei parroci di quartiere o negli allenatori di calcio. È la comunità che può fare la differenza, offrendo un’alternativa a chi, come Vittorio, non ha avuto la fortuna di riceverla.
Non possiamo voltare lo sguardo dall’altra parte. Dobbiamo essere noi a fare la differenza, a dare speranza a chi ne ha bisogno. La tragica storia di Vittorio Maglione ci ricorda che non possiamo permettere che altri giovani si sentano intrappolati e senza via d’uscita.