Antoci ha interrotto un sistema di illegalità consolidato da decenni, eliminando i canoni irrisori per il pascolo sui terreni del parco. Questa discontinuità ha portato rapidamente a minacce e intimidazioni. Prima una busta con proiettili, poi una lettera di minacce che recitava “Finirai scannato te e Crocetta”, fino ad arrivare a un vero e proprio attentato.
Due notti fa, alcuni banditi hanno teso un agguato ad Antoci mentre, a bordo della sua auto blindata, stava tornando a casa lungo la strada tra Cesarò e San Fratello. Solo grazie all’intervento tempestivo degli uomini della scorta, l’attacco non ha avuto un esito tragico, permettendo ad Antoci di riabbracciare la sua famiglia.
L’attentato non ha scoraggiato Antoci. “Da oggi parte la fase due: è la mafia che deve avere paura, li colpiremo con legnate ancora più forti. Io non mi fermo, continuerò a fare soltanto il mio lavoro e il mio dovere”, ha dichiarato il giorno successivo.
Antoci ha trovato nella paura la forza di continuare la sua battaglia per la legalità. La sua determinazione a non cedere alle intimidazioni mafiose ha rafforzato il suo impegno per la giustizia.
Giuseppe Antoci ha visto la morte in faccia, ma ha trasformato quella paura in coraggio e determinazione. La sua lotta contro la mafia nel Parco dei Nebrodi è un esempio di integrità e resilienza.