Rita Atria, nota come la “picciridda” di Paolo Borsellino, è stata una testimone di giustizia italiana e una vittima indiretta della mafia. Nata a Partanna, in provincia di Trapani, Rita cresce in un ambiente dominato dalla mafia e dalle intimidazioni. Figlia di Don Vito Atria, un piccolo boss locale, Rita assiste all’ascesa al potere dei Corleonesi, durante anni segnati da feroci lotte tra clan rivali.
Nel 1985, quando Rita aveva solo 11 anni, suo padre viene ucciso in un agguato. Il fratello maggiore, Nicola, assume il ruolo di capofamiglia e con lui, Rita sviluppa un rapporto confidenziale, venendo a conoscenza di molti segreti del mondo mafioso locale. Tuttavia, nel 1991, anche Nicola viene assassinato davanti a sua moglie. La cognata di Rita, decisa a denunciare gli assassini del marito, viene trasferita in un luogo segreto dalla polizia. Rita rimane sola e rinnegata dall’intero paese e persino dalla sua stessa madre.
Determinata a vendicarsi contro il mondo mafioso, Rita si trasferisce a Roma sotto protezione e inizia a collaborare con il magistrato Paolo Borsellino. Il suo lavoro permette di fare luce su almeno 30 omicidi legati alla mafia. Nonostante la paura, Rita si sente al sicuro con “zio Paolo”, come chiamava affettuosamente Borsellino. Ma il 19 luglio 1992, quando Borsellino viene assassinato, il mondo di Rita crolla. Troppo giovane e abbandonata, una settimana dopo, il 26 luglio 1992, Rita si toglie la vita.
Il coraggio di Rita Atria continua a ispirare la lotta contro la mafia. Il suo sacrificio e la sua determinazione sono un potente richiamo alla giustizia e alla verità. Rita non si arrese mai, ma non riuscì a sopravvivere alla perdita del suo sogno e della sua speranza rappresentata da Borsellino.
Che il suo immenso coraggio possa darci la forza. Perché Rita non si è arresa. Semplicemente non seppe sopravvivere alla morte del proprio sogno.