Santiago Maldonado, un giovane tatuatore di 28 anni, si era trasferito in Patagonia per difendere le terre dei nativi. L’1 agosto scorso, partecipò a una manifestazione della comunità Mapuche a Cushamen, per rivendicare i 900mila ettari di terreno acquistati da una multinazionale e utilizzati per il pascolo di pecore destinate alla produzione di lana.
Con coraggio e determinazione, Santiago si unì alla protesta. L’ultima volta fu visto quel giorno, quando la polizia nazionale argentina sgomberò violentemente un accampamento di attivisti. Testimoni raccontano di averlo visto inginocchiato e arrestato dai militari. Da quel momento, seguì un lungo silenzio. Mesi di preghiere e incertezze, che riportarono alla mente dell’intero Paese il tragico ricordo dei 30mila desaparecidos della dittatura militare degli anni ’70.
Due giorni fa, il corpo di Santiago fu ritrovato congelato in un fiume vicino all’accampamento degli attivisti, proprio su quei terreni per i quali aveva lottato.
Il sacrificio di Santiago Maldonado non è stato vano. Il suo impegno per una causa giusta e comune, e il suo tragico destino, richiamano l’attenzione sulla continua lotta per i diritti umani e sulla necessità di non dimenticare le ingiustizie del passato.