Negli anni ’80, mentre la ‘ndrangheta iniziava a espandere i suoi tentacoli in vari settori, Gennaro Musella, un apprezzato ingegnere salernitano, si distinse per la sua rettitudine e onestà. Proprietario di un’importante impresa di opere marittime, decise di trasferire la sua azienda dalla Campania alla Calabria, intravedendo in quella regione una straordinaria opportunità di crescita. Il suo sogno era trasformare Bagnara, una località semi-sconosciuta, in una nuova Positano, una perla della costiera amalfitana. Questo progetto rappresentava una grande occasione di sviluppo e ricchezza per tutto il Meridione. Gennaro si trasferì a Reggio Calabria con la sua adorata famiglia, acquistò una cava di massi e un’impresa estrattiva, aspettando il momento giusto per realizzare il suo sogno.
L’occasione tanto attesa arrivò nel marzo del 1981, con l’indizione di una gara d’appalto per la costruzione del porto di Bagnara. Musella, convinto di avere tutte le carte in regola, partecipò al bando. Tuttavia, non aveva considerato la mano invisibile della ‘ndrangheta, sostenuta dalla politica connivente, che riuscì a impedirgli di partecipare alla gara. L’ingegnere scoprì che i poteri locali avevano altri piani per quel porto, ma non si arrese. Confidando nelle istituzioni, denunciò le irregolarità alla Procura di Reggio Calabria.
Il 3 maggio 1982, a due giorni dal suo 57esimo compleanno, Musella uscì di casa per andare al lavoro. Poco dopo aver messo in moto l’auto, un’esplosione scosse la città. Il boato, il fumo e il silenzio assordante segnarono la fine della vita di Gennaro Musella. Tra i pochi resti dell’ingegnere, venne trovata integra la sua agenda, sporca di sangue, con l’annotazione dell’8 maggio 1982, data della nuova gara d’appalto del porto di Bagnara. Gennaro credeva ancora nel suo sogno e nella giustizia, nonostante tutto.
Musella non si era arreso alla sopraffazione mafiosa, sacrificando la sua vita in nome della libertà e dell’integrità. Un mese dopo la sua morte, la gara d’appalto venne vinta dai “cavalieri del lavoro” di Catania, Costanzo e Graci. I Carabinieri denunciarono le irregolarità e i condizionamenti operati da un’associazione tra ‘ndrangheta e mafia catanese, capeggiate rispettivamente da Paolo De Stefano e Nitto Santapaola. Nonostante le evidenti irregolarità, le indagini sulla morte di Musella vennero archiviate nel 1988 contro ignoti.
Grazie alla tenacia della famiglia, in particolare della figlia Adriana, il fascicolo venne riaperto nel 1993, senza però mai arrivare a processo. Solo nel 2008, Gennaro Musella fu riconosciuto dallo Stato come vittima di ‘ndrangheta.
Oggi, a 36 anni da quel 3 maggio, ricordiamo Gennaro Musella come un simbolo di integrità e coraggio. La sua memoria vive nel cuore di chi combatte per un’Italia libera dalla criminalità organizzata.
Grazie, Gennaro, per il tuo sacrificio e per aver dimostrato che l’onestà e il coraggio possono prevalere sull’oscurità della corruzione.