Era il 2001 quando la sua attività finì nel mirino della camorra. Pressioni, minacce e intimidazioni divennero all’ordine del giorno, nel tentativo di ottenere il pizzo. Domenico, però, non cedette. Per lui, pagare la camorra significava accettare la sconfitta e la più grande umiliazione. Decise di sfidare la cosca e denunciare il tentativo di estorsione, portando all’arresto di cinque affiliati, tra cui Pasquale Morrone e i fratelli Alessandro e Francesco Cirillo.
Il suo gesto coraggioso ispirò molti altri piccoli imprenditori a ribellarsi e a dire no al pizzo, lanciando un forte segnale di speranza alla comunità. Tuttavia, per la cosca, Domenico divenne un bersaglio da eliminare. Per due anni, gli venne assegnata una scorta, fino al 2003, quando la protezione venne revocata. Domenico decise di difendersi da solo, ottenendo un porto d’armi e acquistando una pistola. Iniziò a frequentare il tiro a segno e ad allenarsi in palestra, consapevole che la vendetta della camorra sarebbe arrivata prima o poi.
Il 16 maggio 2008, sette anni dopo la sua testimonianza, Domenico venne ucciso. Come ogni mattina, prese un caffè con la moglie e si diresse verso il lavoro. Quel giorno, però, il figlio Massimiliano non era con lui. Mentre si trovava a bordo della sua Panda, all’incrocio con via Vasari, venne assalito da sei uomini armati. Due sicari aprirono il fuoco, colpendolo ripetutamente. Domenico tentò di fuggire, ma venne raggiunto e ucciso con venti proiettili, compresi tre colpi alla nuca, un gesto dimostrativo dei Casalesi.
Domenico morì a 64 anni. Ai suoi funerali parteciparono poche persone: la famiglia, qualche amico e pochi colleghi. Le istituzioni erano i grandi assenti.
Nel 2009, Domenico Noviello venne insignito della medaglia d’oro al valore civile come “esempio di impegno civile e rigore morale fondato sui più alti valori di libertà e di legalità”. Nel luogo dell’agguato, a Castel Volturno, nel 2010 nacque la prima associazione antiracket del litorale, dedicata a Domenico: la F.A.I Antiracket di Castelvolturno.
Oggi, a dieci anni di distanza, ricordiamo Domenico come un grande uomo, un vero antimafioso che ha sacrificato la propria vita per combattere il sistema malavitoso. Lo fece per potersi guardare allo specchio senza provare vergogna, per non sentirsi umiliato. Come spesso ripeteva, “non bisogna chinare il capo a chi con le minacce vuole rubarti la libertà e toglierti la dignità”.
Oggi come ieri, grazie Domenico.