Figlio di un ferroviere, Walter Tobagi frequentò il liceo Parini di Milano. Durante un periodo segnato dal vento rivoluzionario che influenzava un’intera generazione, maturò il suo impegno politico. La sua carriera giornalistica iniziò presso L’Avanti di Milano, per poi entrare, nel 1969, nella redazione de L’Avvenire. Parallelamente alla sua attività giornalistica, portò avanti un percorso accademico, diventando ricercatore e poi docente di storia contemporanea all’Università Statale di Milano.
Nel 1975, Tobagi pubblicò un volume sulla CGIL e, nel 1978, un lungo saggio sul sindacalismo cattolico e un volume sull’attentato a Togliatti. Il suo interesse si concentrava sui rapporti tra politica e violenza armata nel difficile dopoguerra. Giornalista serio e scrupoloso, Tobagi non estremizzava mai i toni e si dedicava a tematiche economiche e sindacali, come dimostrano i suoi servizi sulla condizione dei lavoratori della Fiat Mirafiori durante l’autunno caldo del 1972.
A metà degli anni settanta, Tobagi rivolse la sua attenzione al terrorismo, sia di destra che di sinistra. Seguì la strage di Piazza Fontana, la vicenda di Valpreda, le responsabilità di Ventura e Freda, la morte dell’anarchico Pinelli e l’omicidio del commissario Calabresi. La sua ultima indagine riguardava la misteriosa morte di Giangiacomo Feltrinelli, attivista morto su un traliccio a Segrate dilaniato da un ordigno che lui stesso aveva preparato.
Grazie alla sua lunga carriera e alla sua credibilità, Tobagi venne assunto da Il Corriere della Sera, diventando inviato speciale sul fronte del terrorismo e un affidabile cronista politico. Il 27 maggio 1980, Tobagi presiedette un incontro presso il circolo della stampa milanese, parlando dell’importanza della libertà di stampa e della responsabilità di chi scriveva sulla guerra in atto tra bande terroristiche e i possibili rapporti con lo Stato. Chiuse il suo intervento chiedendosi chi sarebbe stato il prossimo a rimetterci la vita.
Il giorno seguente, il 28 maggio 1980, alle 11.10, un commando di giovani appartenenti a famiglie benestanti di Milano tese un agguato a Tobagi mentre si recava al giornale. Spararono sei colpi di pistola, uccidendolo sul colpo. Poche ore dopo, l’assassinio venne rivendicato dalla “Brigata 28 marzo”, una nuova sigla del terrorismo rosso.
Walter Tobagi era un socialista, un giornalista appassionato, una penna seria e obiettiva. Morì perché credeva in un’Italia diversa e perché la sua profonda onestà non gli permise di voltarsi dall’altra parte. Morì per amore della libertà.
Grazie, Walter Tobagi, per il tuo coraggio e la tua dedizione. La tua memoria vive nei cuori di chi crede nella libertà di stampa e nella giustizia.