Il Capitano Mario D’Aleo, all’età di 29 anni, era subentrato nel comando della Compagnia dei Carabinieri di Monreale dopo l’assassinio del Capitano Emaniele Basile da parte di Cosa Nostra nel 1980. Fin dai primi giorni del suo incarico, D’Aleo aveva continuato con determinazione l’attività del suo predecessore, puntando a contrastare gli interessi mafiosi nel territorio controllato dal potente clan di San Giuseppe Jato, comandato da Bernardo Brusca e rappresentato localmente da Salvatore Damiani.
Le indagini condotte da D’Aleo, insieme all’Appuntato Giuseppe Bommarito, portarono a numerosi arresti di latitanti, inclusi membri chiave del clan, come lo stesso Brusca. Bommarito, collaboratore di lunga data del Capitano Basile, aveva precedentemente sorpreso il boss Damiani in una riunione con altri affiliati mafiosi, confermandone il ruolo cruciale e il coinvolgimento nell’omicidio di Basile. Le approfondite indagini di D’Aleo e Bommarito culminarono nel fermo di Damiani per episodi di “lupara bianca” e l’applicazione di misure preventive, personali e patrimoniali. Contestualmente, l’azione di D’Aleo si concentrò anche su Brusca e la sua famiglia, provocando reazioni sempre più violente da parte della mafia.
Il 13 giugno 1983, in una calda serata estiva a Palermo, il Capitano Mario D’Aleo, l’Appuntato Giuseppe Bommarito e l’autista Pietro Morici vennero assassinati in un agguato orchestrato da Cosa Nostra. I tre carabinieri erano appena arrivati in via Cristoforo Scobar a bordo di una Fiat Ritmo. Uno di loro doveva incontrare la fidanzata, e decisero di fare una piccola deviazione. Appena si fermarono, due passanti estrassero le pistole e iniziarono a sparare, seguiti da un terzo uomo armato di fucile sceso da una Fiat 131. Una pioggia di colpi investì l’auto dei tre carabinieri, che non ebbero il tempo di reagire. Le loro armi rimasero inutilizzate nelle fondine.
La sentenza del 16 novembre 2001 confermò che l’omicidio del Capitano D’Aleo e dei suoi uomini fu opera di Cosa Nostra. L’obiettivo era fermare l’azione di un coraggioso carabiniere che minacciava seriamente gli interessi e il prestigio del clan nel territorio del mandamento di San Giuseppe Jato. D’Aleo stava mettendo in pericolo la latitanza di boss di alto calibro come Bernardo Brusca e Salvatore Riina.
Oggi, a 35 anni di distanza, ricordiamo questi tre eroi: il Capitano Mario D’Aleo, l’Appuntato Giuseppe Bommarito e l’autista Pietro Morici. Prima ancora di essere ufficiali, erano giovani uomini che, pur consapevoli dei rischi gravissimi, non si piegarono mai al potere mafioso. Il loro sacrificio rappresenta un raro senso del dovere e della giustizia, un esempio luminoso di coraggio e dedizione.
Grazie Mario, Giuseppe e Pietro. La vostra memoria vive nei cuori di chi continua a combattere per un mondo libero dalla mafia.