Calogero Marrone, originario di Favara in Sicilia, si trasferì con la famiglia in Lombardia nel 1931, dopo aver vinto un concorso per applicato comunale a Varese. Grazie alla sua dedizione al servizio pubblico, divenne capo dell’Ufficio anagrafe locale.
Il pomeriggio del 7 gennaio 1944, due ufficiali tedeschi bussarono alla porta di casa sua, al civico 14 di via Mario Chiesa. Calogero non fu sorpreso. Da tempo attendeva questa visita, consapevole che le sue azioni di aiuto a ebrei e antifascisti italiani attraverso la fornitura di documenti falsi lo avrebbero messo in pericolo. Don Luigi Locatelli, canonico della Basilica di San Vittore, lo aveva avvertito dell’imminente arresto, tradito da un delatore che lo aveva denunciato alle SS.
Nonostante avesse la possibilità di fuggire, Calogero scelse di restare. La borsa era già pronta, con un paio di camicie e un rasoio. Salutò l’amata moglie e i quattro figli prima di essere portato via dai tedeschi. Tradotto per gli interrogatori di rito, venti giorni dopo venne trasferito nel carcere di San Donnino a Como e poi a San Vittore. La sua ultima tappa italiana fu il campo di transito di Bolzano-Gries prima della deportazione a Dachau.
Dolore, maltrattamenti e solitudine lo accompagnarono fino al febbraio del 1945, quando Calogero morì di stenti. Solo anni dopo, il figlio Domenico spiegò la mancata fuga del padre: “Papà alla fine non se l’era sentita di lasciarci soli… rispettava tutti, ma amava soprattutto la famiglia. Per niente al mondo avrebbe voluto che, per causa sua, dovessimo correre dei rischi. Credo che immaginasse la sorte che l’attendeva. Malgrado ciò rimase fermo al suo posto. In questo sta la sua grandezza”.