Pochi mesi dopo, Peppino creò Radio Aut, una radio libera e autofinanziata, attraverso la quale denunciava i crimini mafiosi locali, in particolare quelli del boss Gaetano Badalamenti. Da quel microfono, per la prima volta, l’amara realtà di Cinisi veniva esposta: omicidi, legami con politici corrotti, traffici di droga e pizzo erano portati alla luce senza paura. La voce di Peppino risuonava forte e chiara, sfidando il silenzio e l’omertà che dominavano il territorio.
Nel 1978, Peppino decise di candidarsi alle elezioni comunali nella lista di Democrazia Proletaria. Poco prima delle elezioni, organizzò una mostra fotografica che documentava la devastazione del territorio operata dalla mafia locale. Pochi giorni dopo, nella notte tra l’8 e il 9 maggio, Peppino fu assassinato: il suo corpo fu martoriato da una carica di tritolo collocata lungo i binari della ferrovia di Cinisi, tra Palermo e Trapani. Le istituzioni e le forze dell’ordine corrotte cercarono di inscenare un attentato, approfittando dell’attenzione nazionale polarizzata dal caso Moro, facendo apparire Peppino come un suicida.
Tuttavia, la verità non poté essere nascosta e la memoria di Peppino restò intatta. Pochi giorni dopo il suo assassinio, fu simbolicamente eletto al Consiglio comunale. Anni dopo, nel maggio del 1992, i giudici decisero l’archiviazione del caso, pur riconoscendo la matrice mafiosa del delitto e l’impossibilità di individuare i colpevoli. Solo agli inizi del duemila furono arrestati i responsabili: Vito Palazzolo, condannato a trent’anni come esecutore dell’omicidio, e il boss Gaetano Badalamenti, mandante del delitto, condannato all’ergastolo.
Il sacrificio di Peppino Impastato continua a essere un simbolo di quella parte d’Italia che non si arrende al compromesso, che non si piega all’intimidazione e che resta pulita. La sua lotta e il suo coraggio ispirano ancora oggi chiunque si opponga alla mafia e alle ingiustizie.